
La dottrina
Benedetto XVI - Udienza Generale
Piazza San Pietro - Mercoledi, 25 Aprile 2007

a
catechesi di mercoledì scorso era dedicata alla grande figura di Origene,
dottore alessandrino del II-III secolo. In quella catechesi abbiamo preso in
considerazione la vita e la produzione letteraria del grande maestro,
individuando nella «triplice lettura» della Bibbia, da lui condotta, il
nucleo animatore di tutta la sua opera. Ho lasciato da parte – per
riprenderli oggi – due aspetti della dottrina origeniana, che considero tra
i più importanti e attuali: intendo parlare dei suoi insegnamenti sulla
preghiera e sulla Chiesa.
In verità Origene – autore di un importante e sempre attuale trattato su La
preghiera – intreccia costantemente la sua produzione esegetica e teologica
con esperienze e suggerimenti relativi all’orazione. Nonostante tutta la
ricchezza teologica di pensiero, la sua non è mai una trattazione puramente
accademica; è sempre fondata sull’esperienza della preghiera, del contatto
con Dio. A suo parere, infatti, l’intelligenza delle Scritture richiede, più
ancora che lo studio, l’intimità con Cristo e la preghiera. Egli è convinto
che la via privilegiata per conoscere Dio è l’amore, e che non si dia
un’autentica scientia Christi senza innamorarsi di Lui. Nella Lettera a
Gregorio Origene raccomanda: «Dedicati alla lectio delle divine Scritture;
applicati a questo con perseveranza. Impegnati nella lectio con l’intenzione
di credere e di piacere a Dio. Se durante la lectio ti trovi davanti a una
porta chiusa, bussa e te l’aprirà quel custode, del quale Gesù ha detto: “Il
guardiano gliela aprirà”. Applicandoti così alla lectio divina, cerca con
lealtà e fiducia incrollabile in Dio il senso delle Scritture divine, che in
esse si cela con grande ampiezza. Non ti devi però accontentare di bussare e
di cercare: per comprendere le cose di Dio ti è assolutamente necessaria l’oratio.
Proprio per esortarci ad essa il Salvatore ci ha detto non soltanto:
“Cercate e troverete”, e “Bussate e vi sarà aperto”, ma ha aggiunto:
“Chiedete e riceverete”» (4). Balza subito agli occhi il «ruolo primordiale»
svolto da Origene nella storia della lectio divina. Il Vescovo Ambrogio di
Milano – che imparerà a leggere le Scritture dalle opere di Origene – la
introdurrà poi in Occidente, per consegnarla ad Agostino e alla tradizione
monastica successiva.
Come già abbiamo detto, il più alto livello della conoscenza di Dio, secondo
Origene, scaturisce dall’amore. È così anche tra gli uomini: uno conosce
realmente in profondità l’altro solo se c'è amore, se si aprono i cuori. Per
dimostrare questo egli si fonda su un significato dato talvolta al verbo
conoscere in ebraico, quando cioè viene utilizzato per esprimere l’atto
dell’amore umano: «Adamo conobbe Eva, sua sposa, la quale concepì» (Gn 4,1).
Così viene suggerito che l’unione nell’amore procura la conoscenza più
autentica. Come l’uomo e la donna sono «due in una sola carne», così Dio e
il credente diventano «due in uno stesso spirito». In questo modo la
preghiera dell’Alessandrino approda ai livelli più alti della mistica, come
è attestato dalle sue Omelie sul Cantico dei Cantici. Viene a proposito un
passaggio della prima Omelia, dove Origene confessa: «Spesso – Dio me ne è
testimone – ho sentito che lo Sposo si accostava a me in massimo grado; dopo
Egli se ne andava all’improvviso, e io non potei trovare quello che cercavo.
Nuovamente mi prende il desiderio della sua venuta, e talvolta Egli torna, e
quando mi è apparso, quando lo tengo tra le mani, ecco che ancora mi sfugge,
e una volta che è svanito mi metto ancora a cercarlo...» (1,7).
Torna alla mente ciò che il mio venerato Predecessore scriveva, da autentico
testimone, nella Novo millennio ineunte, là dove egli mostrava ai fedeli
«come la preghiera possa progredire, quale vero e proprio dialogo d’amore,
fino a rendere la persona umana totalmente posseduta dall’Amato divino,
vibrante al tocco dello Spirito, filialmente abbandonata nel cuore del Padre
... Si tratta», proseguiva Giovanni Paolo II, «di un cammino interamente
sostenuto dalla grazia, che chiede tuttavia forte impegno spirituale e
conosce anche dolorose purificazioni, ma che approda, in diverse forme
possibili, all’indicibile gioia vissuta dai mistici come “unione sponsale”»
(n. 33).
Veniamo, infine, a un insegnamento di Origene sulla Chiesa, e precisamente –
all’interno di essa – sul sacerdozio comune dei fedeli. Infatti, come
l’Alessandrino afferma nella sua nona Omelia sul Levitico, «questo discorso
riguarda tutti noi» (9,1). Nella medesima Omelia Origene – riferendosi al
divieto fatto ad Aronne, dopo la morte dei suoi due figli, di entrare nel
Sancta sanctorum «in qualunque tempo» (Lv 16,2) – così ammonisce i fedeli:
«Da ciò si dimostra che se uno entra a qualunque ora nel santuario, senza la
dovuta preparazione, non rivestito degli indumenti pontificali, senza aver
preparato le offerte prescritte ed essersi reso Dio propizio, morirà ...
Questo discorso riguarda tutti noi. Ordina infatti che sappiamo come
accedere all’altare di Dio. O non sai che anche a te, cioè a tutta la Chiesa
di Dio e al popolo dei credenti, è stato conferito il sacerdozio? Ascolta
come Pietro parla dei fedeli: “Stirpe eletta”, dice, “regale, sacerdotale,
nazione santa, popolo che Dio si è acquistato”. Tu dunque hai il sacerdozio
perché sei “stirpe sacerdotale”, e perciò devi offrire a Dio il sacrificio
... Ma perché tu lo possa offrire degnamente, hai bisogno di indumenti puri
e distinti dagli indumenti comuni agli altri uomini, e ti è necessario il
fuoco divino» (ivi).
Così da una parte i «fianchi cinti» e gli «indumenti sacerdotali», vale a
dire la purezza e l’onestà della vita, dall’altra la «lucerna sempre
accesa», cioè la fede e la scienza delle Scritture, si configurano come le
condizioni indispensabili per l’esercizio del sacerdozio universale, che
esige purezza e onestà di vita, fede e scienza delle Scritture. A maggior
ragione tali condizioni sono indispensabili, evidentemente, per l’esercizio
del sacerdozio ministeriale. Queste condizioni – di integra condotta di
vita, ma soprattutto di accoglienza e di studio della Parola – stabiliscono
una vera e propria «gerarchia della santità» nel comune sacerdozio dei
cristiani. Al vertice di questo cammino di perfezione Origene colloca il
martirio. Sempre nella nona Omelia sul Levitico allude al «fuoco per
l’olocausto», cioè alla fede e alla scienza delle Scritture, che mai deve
spegnersi sull’altare di chi esercita il sacerdozio. Poi aggiunge: «Ma
ognuno di noi ha in sé» non soltanto il fuoco; ha «anche l’olocausto, e dal
suo olocausto accende l’altare, perché arda sempre. Io, se rinuncio a tutto
ciò che possiedo e prendo la mia croce e seguo Cristo, offro il mio
olocausto sull’altare di Dio; e se consegnerò il mio corpo perché arda,
avendo la carità, e conseguirò la gloria del martirio, offro il mio
olocausto sull’altare di Dio» (9,9).
Questo inesausto cammino di perfezione «riguarda tutti noi», purché «lo
sguardo del nostro cuore» sia rivolto alla contemplazione della Sapienza e
della Verità, che è Gesù Cristo. Predicando sul discorso di Gesù a Nazaret –
quando «gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di Lui» (Lc
4,16-30) – Origene sembra rivolgersi proprio a noi: «Anche oggi, se lo
volete, in questa assemblea i vostri occhi possono fissare il Salvatore.
Quando infatti tu rivolgerai lo sguardo più profondo del cuore verso la
contemplazione della Sapienza, della Verità e del Figlio unico di Dio,
allora i tuoi occhi vedranno Dio. Felice assemblea, quella di cui la
Scrittura attesta che gli occhi di tutti erano fissi su di Lui! Quanto
desidererei che questa assemblea ricevesse una simile testimonianza, che gli
occhi di tutti, dei non battezzati e dei fedeli, delle donne, degli uomini e
dei fanciulli, non gli occhi del corpo, ma quelli dell’anima, guardassero
Gesù! … Impressa su di noi è la luce del tuo volto, o Signore, a cui
appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!» (Om. sul
Vangelo di Luca 32,6).
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